Schema Therapy

La Schema Therapy (ST) è una psicoterapia innovativa che si è dimostrata scientificamente efficace per il trattamento dei Disturbi di Personalità e per tutte quelle problematiche psicologiche croniche e non rispondenti ai trattamenti psicoterapeuti tradizionali (Young, 1990; Young, Klosko & Weishar, 2003; Arntz, 1994; Farrel & Shaw, 1994, 2012; Behary, 2013; Farrel, Reiss & Shaw, 2014).

La Schema Therapy è un modello teorico relativo alle variabili causali e di mantenimento, in particolare dei disturbi caratteriologici, che prevede una specifica teoria della tecnica clinica, fondata sull’integrazione del modello Cognitivo-Comportamentale delle scoperte, dei metodi e delle procedure terapeutiche derivanti da differenti orientamenti psicologici e psicoterapici: la Teoria dell’Attaccamento, l’Approccio Psicodinamico, la Terapia Focalizzata sulle Emozioni e la Psicoterapia della Gestalt.

Il modello terapeutico, formulato e sviluppato, dal Dr. Jeffrey Young è stato validato empiricamente da numerosi studi effettuati su larga scala (Giessen-Bloo, et al, 2006; Nadort et al., 2009) e ha ottenuto importanti riconoscimenti e sostegno dalla letteratura scientifica per il trattamento del Disturbo Borderline di Personalità (Arntz, 2013). Attualmente, lo studio dei costrutti e delle metodologie terapeutiche cliniche della ST è in continua evoluzione e approfondimento (Lavergne et al,2015). Si sono difatti evidenziate la sua efficacia e la sua applicazione anche nel trattamento dei Disturbi di Personalità Evitante, Ossessivo-Compulsivo e Dipendente (Cluster C) (Weinbrecht et al, 2016; Hoffard Lunding et al, 2016), dell’ansia e della depressione cronica (Rennel et al, 2015), dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) (McIntosh et al, 2016), dei problemi di coppia e sessuali (Derby et al, 2015),  delle ricadute nel disturbo da uso di sostanze, nelle psicosi (Stowkowy et al, 2016), nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) (Hopwood, Thomas, 2016) nel Disturbo Post-Traumatico da Stress (Cockram, Drummond & Lee, 2010) e nei pazienti forensi con Disturbi di Personalità (Bernstein, Nijman, Karos, Keulen-de Vos., de Vogel & Lucker, 2012).

Infine, aumentano gli studi che evidenziano il rapporto costo-efficacia della Schema Therapy (Van Asselt, Dirksen, Arntz, Giesen-Bloo, Va Dyck, Spinhoven et al., 2008; Bamelis, Arntz, Wetzelaer & Evers, 2015).

Rispetto alla CBT tradizionale, la ST valorizza maggiormente il ruolo delle emozioni, enfatizza il rapporto terapeutico come veicolo di cambiamento e attribuisce maggiore importanza al focus dei rapporti primari nell’infanzia come origine delle difficoltà attuali.

La ST punta a modificare i comportamenti e le modalità con cui le persone si relazionano con le figure significative e con i propri obiettivi di vita.

La componente fondamentale è il concetto di “schema maladattivo precoce”, ossia un tema costituito da ricordi, emozioni e sensazioni che viene elaborato lungo tutto l’arco della propria vita e che genera dei comportamenti disfunzionali. Tuttavia, pur essendo fonte di sofferenza viene mantenuto in quanto rappresenta il conosciuto, il familiare a cui non ci si vuole distaccare. La persona viene, dunque, attratta da quelle situazioni che rafforzano gli schemi, rendendo difficile non solo il cambiamento ma anche il riconoscimento della loro disfunzionalità.

Come nasce lo schema maladattivo precoce?

Young individua dei “bisogni universali” che ogni persona percepisce ma non sempre vede soddisfatti; la frustrazione di questi bisogni, soprattutto in giovane età, porta alla creazione dello schema maladattivo precoce.

L’Intervento Terapeutico nella Schema Therapy

In una prima fase della terapia il paziente viene introdotto al modello degli Schemi, dei Mode, dei Bisogni psicologici di base e delle modalità di Coping disfunzionali (resa, evitamento, iper-perseguimento), al fine di concettualizzare i suoi problemi emotivi e comportamentali all’interno del frame teorico generale, di semplice acquisizione.

In questo modo il paziente può comprendere i fenomeni clinici (emozioni, comportamenti, atteggiamenti interpersonali) dai quali è turbato, come espressione e conseguenza di precoci frustrazioni inappropriate dei propri bisogni psicologici di base, che hanno presumibilmente generato schemi previsionali, come anche rappresentazioni di sé e degli altri, pessimistici, rigidi, iper-valenti e, conseguentemente, disadattivi. Le condotte e le emozioni sintomatiche attuali, in quanto strategie di coping (seppur generalmente non intese e non volute in senso stretto, dallo stesso soggetto agente) delle “minacce” (rispetto ai propri bisogni) veicolate dagli schemi maladattivi individuali (previsioni disfunzionali e/o pessimistiche), dunque, divengono più comprensibili al paziente stesso come espressione del perseguimento o salvaguardia dei propri bisogni psicologici basici, a partire da percezioni di sé, degli altri e del mondo pessimistiche e/o genericamente disadattive.

Questa prima fase di “psico-educazione” ha la funzione, dunque, di aumentare la consapevolezza del soggetto circa i meccanismi psicopatogeni che influenzano il suo funzionamento mentale attuale e, conseguentemente, incrementare l’egodistonia rispetto alle proprie condotte problematiche/sintomatiche, in quanto espressione di modalità disfunzionali di coping, se non nell’immediato, sicuramente a medio o a lungo termine. Si considerino, ad esempio, le minacce di auto-danneggiamento sovente realizzate dai pazienti borderline con la funzione di evitare l’abbandono, presunto o reale che sia: se nel momento attuale, infatti, possono ottenere l’effetto di “controllare” l’interlocutore trattenendolo a sé, alla lunga, generalmente, lo esasperano a tal punto da rendere pressoché certa la rottura della relazione.

L’obiettivo di questa prima fase del trattamento, dunque, consiste nell’aumento di meta-cognizione e, dunque, di capacità di auto-monitoraggio e gestione dei propri processi psichici di elaborazione delle informazioni. In questo modo, inoltre, si intende anche incrementare la disposizione cooperativa del paziente rispetto alla relazione terapeutica ed al progetto clinico nel suo insieme.

In un secondo momento, paziente e terapeuta cercano di rintracciare, all’interno della storia di vita del soggetto, le possibili “fonti” esperienziali degli schemi maladattivi precoci, al fine di cominciare a prendere le distanze da esse (messaggio implicito: “Certe convinzioni le hai sviluppate in seguito ad esperienze non di rado dolorose o, quantomeno, inappropriate. Sarebbe successo lo stesso pressoché a chiunque. Come hai appreso a pensare certe cose, però, puoi riuscire gradualmente a contrastare tali convinzioni disfunzionali”). Il terapeuta, inoltre, così come avviene nella TCS, pone sul paziente l’onere della prova rispetto alla sostenibilità/attendibilità delle proprie credenze disfunzionali centrali (core belief o schemi), con domande socratiche del tipo: “Che prove hai a favore della Credenza X (es.: “Gli altri non mi aiuteranno se mostrerò le mie fragilità, anzi mi rifiuteranno”)? Quali prove di prima mano, invece, possiedi a sfavore della Credenza X?”. Il terapeuta, dunque, realizza una cosiddetta “Life Review” finalizzata a: (a) identificare l’origine degli schemi maladattivi precoci e degli stili di coping disfunzionali; (b) mostrare al paziente come le sue modalità di coping disadattive (evitamento, resa, iper-compensazione) abbiano mantenuto e, non di rado, rinfocolato le proprie credenze disfunzionali su se stesso, gli altri ed il mondo; (c) valutare i vantaggi e gli svantaggi esistenziali del continuare a reiterare gli schemi e le condotte di coping appresi in modo inappropriato nel corso della propria storia di sviluppo; (d) rendere evidente al paziente che certi eventi esistenziali che egli porta come prova a sostegno dei propri schemi disfunzionali (es.: “Non piaccio a nessuno”), sono piuttosto la spiegazione del perché egli intrattenga certe credenze negative e non certo la prova della loro veridicità: “Il fatto che i tuoi compagni di classe delle medie ti abbiano bullizzato spiega perché tu oggi ritenga di essere sgradevole e meritevole di rifiuto, non è di certo la prova della tua presunta scarsa amabilità!”.

Una volta che il soggetto ha acquisito una maggiore “distanza critica” (metacognizione funzionale) dagli schemi maladattivi precoci e dagli stili di coping disfunzionali, il terapeuta gli propone di annotare in un diario costruito ad hoc, tutte le contingenze quotidiane nelle quali lo schema si riattiva, producendo emozioni e condotte (coping) disfunzionali (almeno a medio o a lungo termine). La funzione di tale procedura è, sostanzialmente, quella di frapporre gradualmente tra lo stimolo (l’eventualità generalmente di natura interpersonale) e la risposta “automatizzata” (valutazioni, emozioni e comportamenti), maggiore ragionamento (pensiero consapevole ed auto-governato), mediato dal linguaggio e dalla consapevolezza (attivazione della Corteccia), in grado di contrastare le attribuzioni di significato automatiche/inconsce (schemi) ed iper-valenti (senza ipotesi alternative), veicolate dall’azione di strutture sub-corticali (in massima parte il Sistema Limbico).

Il paziente viene anche dotato di Flash Cards nelle quali egli schematizza ed esemplifica le modalità attraverso le quali lo schema disfunzionale influenza le proprie percezioni, emozioni ed azioni (coping) e, ulteriormente, annota anche le possibili alternative valutative e comportamentali più funzionali: il soggetto utilizza queste cards, rileggendole a ridosso delle contingenze esperienziali emotigene e distressanti, per ricordarsi quanto discusso in seduta insieme al terapeuta, al fine di contrastare, come già accennato, l’automaticità delle proprie percezioni soggettive, influenzate in modo soverchio dagli schemi centrali iper-valenti (ridotta capacità discriminativa delle diverse contingenze esperienziali). Tale procedura, dunque, intende soprattutto cambiare la funzione dei pensieri automatici negativi ingenerati dagli schemi maladattivi precoci, facendo in modo che il soggetto li osservi criticamente, come “automatismi” mentali non necessariamente attendibili, piuttosto che farsi guidare e governare da essi, rispetto al proprio comportamento attuale.

Ultima fase della ristrutturazione cognitiva consiste nel far scrivere al paziente una lettera (che generalmente non viene però effettivamente spedita ai destinatari) indirizzata alle figure significative (genitori, parenti, insegnanti, educatori, coetanei, ecc.) che hanno contribuito negativamente, seppur in modo generalmente non intenzionale, alla formazione dei suoi schemi disadattivi e dei suoi stili di coping problematici. L’obiettivo di tale procedura è quello di stabilizzare le acquisizioni, sul piano cognitivo, emotivo e comportamentale, che il paziente ha ottenuto nella prima fase della terapia (consapevolezza e distanza critica rispetto agli schemi ed alle strategie di coping disfunzionali) e, inoltre, incrementare la capacità del soggetto di affermare assertivamente i propri bisogni e diritti, frustrati in modo inappropriato durante la propria storia di vita. La lettura della lettera in seduta, in presenza del terapeuta, è generalmente un’esperienza fortemente emotigena, in grado di radicarsi in modo significativo nella memoria procedurale del paziente.

L’intervento centrale e peculiare della Schema Therapy consiste, ad ogni modo, nel ricorso sistematico alle procedure immaginative ed esperienziali, largamente desunte dalla Terapia della Gestalt di Fritz Perls (1997): la Imagery With Rescripting e la tecnica delle due sedie, ecc.

Nella Imagery With Rescripting, paziente e terapeuta, individuano esperienze interpersonali, infantili e/o adolescenziali, nelle quali il soggetto ha presumibilmente messo a fuoco o stabilizzato i propri schemi maladattivi precoci. L’individuo viene poi calato in tali memorie emotigene, facendogli immaginare, ad occhi chiusi, di riviverle nel momento attuale, con la presenza e l’assistenza del terapeuta. Il paziente ed il clinico, successivamente, interagiranno all’interno dell’immaginazione con le varie figure incluse nel ricordo rievocato, inscenando un’interazione nel qui ed ora, come se gli interlocutori fossero effettivamente presenti. Il paziente, in prima istanza, rievoca e narra (parlando in prima persona) la scena “dolorosa” dal punto di vista di se stesso bambino o adolescente. Nella seconda fase, invece, il soggetto osserva e narra la scena dal punto di vista di se stesso adulto che assiste agli eventi e può intervenire a difesa di se stesso bambino (o adolescente), contrastando attivamente ed in maniera assertiva gli interlocutori disfunzionali. Se il paziente fa fatica ad affrontare le figure significative della propria storia evolutiva, assumendo una prospettiva critica nei loro confronti, a difesa dei bisogni e dei diritti del bambino, sarà il terapeuta ad inserirsi nella scena, interloquendo in modo deciso (così da risultare più credibile agli occhi del paziente) con i vari personaggi coinvolti nell’evento rievocato, anche al fine di fare da modello per il paziente. Nella terza fase, in ultimo, il paziente narra nuovamente l’esperienza rammentata, dal punto di vista di se stesso bambino (o adolescente), inserendo però nella scena gli interventi protettivi di se stesso adulto e/o del terapeuta. Tale procedura, così sfaccettata, ha la finalità di rendere il soggetto capace di: (a) prendere le distanze attivamente (discutendo nel caso anche animatamente con i vai interlocutori), “in vivo” ed “a caldo” dalle esperienze patogene, ingenerate nel soggetto dagli atteggiamenti dei vari individui presenti nella scena ricordata e rivissuta nel qui ed ora; (b) prendersi cura (sviluppare un’attitudine positiva e protettiva verso di sé à auto-validazione), nell’immaginazione, del proprio “bambino interiore”, considerando e legittimando i suoi bisogni psicologici, inopportunamente frustrati nell’episodio in oggetto (come in altri similari); (c) fare l’esperienza, seppur immaginativa, che le cose potevano e dovevano andare diversamente: “Non sono io ad essere sbagliato, ma piuttosto le esperienze inappropriate che ho vissuto”; (d) desensibilizzarsi (perdita del potere emotigeno di specifici stimoli e contingenze relazionali) rispetto ad espressioni altrui disprezzanti in modo umiliante o colpevolizzante/rabbioso, acquisendo, nel contempo, la capacità di reagire assertivamente (apprendimento di nuove competenze sociali, ad esempio, “osservando” il comportamento del terapeuta durante l’immaginazione, mentre interagisce con i vari personaggi inclusi nella scena) di fronte a tali atteggiamenti vessatori, al fine di poter difendere la propria autostima ed amabilità percepita: non “sposare”, dunque, il punto di vista ed i criteri dell’interlocutore svilente e/o squalificante.

Nella Tecnica delle 2 Sedie, invece, il terapeuta fa impersonare al paziente le varie parti di sé (MODE) in conflitto, rispetto alla soddisfazione di tutti i propri bisogni psicologici di base, in modo che queste possano “interloquire” tra loro, anche con l’aiuto del terapeuta, e giungere ad un equilibrio più funzionale, senza che nessuna di esse divenga iper-valente (ossia rigidamente presente in ogni situazione, indipendentemente dalla sua funzionalità a lungo termine), “soffocando” le altre dimensioni del sé, ognuna delle quali possiede, in specifiche contingenze, una sua rilevanza ed utilità rispetto alla soddisfazione o alla salvaguardia di uno o più bisogni psicologici di base. Ad esempio, il Bambino Vulnerabile può discutere con il Protettore Distaccato affinché quest’ultimo possa smorzare almeno in parte il suo atteggiamento difensivo e respingente (es.: cercando di indurlo a rischiare di aprirsi almeno con qualcuno), così da non tenere a debita distanza tutte le persone con le quali si entra in contatto, anche quelle potenzialmente affidabili ed affettuose. Oppure, l’Adulto Funzionale può contrastare assertivamente il Genitore Autoritario, Ipercritico e/o Umiliante, al fine di aiutare il Bambino Interiore a prendere le distanze dalle vessazioni inappropriate ricevute, salvaguardando, conseguentemente, la propria amabilità, anche di fronte ad errori colposi o inadeguatezze. Ancora, il Genitore Protettivo ed Autorevole può negoziare con il Bambino Ribelle ed Impulsivo alcune regole essenziali di condotta (es.: tempi e modi di accesso alle risorse e/o di soddisfazione dei propri desideri ed impulsi, ecc.), utili per salvaguardare i diritti ed i bisogni propri e altrui o della collettività, oltre che per proteggersi da errori dovuti all’impulsività ed alla disregolazione delle emozioni e degli impulsi.

Va sottolineato, in conclusione, che le suddette procedure esperienziali, appaiono in grado di incoraggiare esperienze emotigene e “di prima mano”, capaci di influenzare il funzionamento del soggetto, rimodulando l’azione inappropriata di alcune dimensioni del sé rispetto alle altre, in modo assai più incisivo rispetto al classico dialogo socratico (incoraggiamento di processi inferenziali) o ad una “spiegazione”, “narrazione” o interpretazione del terapeuta.

 

 

 

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